Dal lavaggio del suolo meno rifiuti, più riuso.
Negli ultimi cinquant’anni ambiente e salute hanno pagato un prezzo altissimo allo sviluppo: le aree dismesse si sono moltiplicate, abbandonate a se stesse, spesso disperdendo in maniera incontrollata il loro carico inquinante o diventando deposito di scarti e rifiuti. Bonificare tout court non basta.I principi di sostenibilità e circolarità promossi anche a livello europeo nella gestione dei rifiuti devono essere applicati anche nella progettazione degli interventi di bonifica.
Con il soil washing il terreno viene sottoposto a un vero e proprio lavaggio che consente di concentrare gli inquinanti nella matrice più fine.
Di una tonnellata di terra contaminata il 20% viene avviato a smaltimento, mentre il restante 80% può essere riutilizzato nella stessa area per riempire gli scavi dovuti alla bonifica.
In Italia sono almeno diecimila le aree contaminate note e catalogate. Quelle più estese e classificate come pericolose dallo Stato sono state definite “siti di interesse nazionale per le bonifiche” (Sin).
Ambienthesis ha lavorato su oltre 50 Sin, tra i quali il polo petrolchimico di Mantova, l’Ilva di Taranto e l’area delle ex acciaierie Falck di Sesto San Giovanni.
Sul Sin di Bagnoli, invece, la società del gruppo Greenthesis ha appena completato per Invitalia una ricerca per individuare le migliori tecniche di bonifica applicabili.
“Uno studio propedeutico andrebbe sempre fatto, – spiega Damiano Belli, amministratore delegato di Ambienthesis – perché ogni sito da bonificare è un mondo a sé.
Nell’area di Bagnoli, dismessa da almeno due decenni, c’erano un’acciaieria, un cementificio e un’azienda che produceva manufatti in cemento-amianto.
In base ai test svolti abbiamo visto che le migliori tecniche applicabili sarebbero il soil washing e il desorbimento termico”.
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