Il 20 settembre scorso, nella meravigliosa cornice umbra di Bonsciano – Città di Castello (PG), all’interno della country house del Gruppo Greenthesis, si è svolto un evento dal titolo “Il successo sostenibile: le sfide che il Paese deve affrontare” con il quale si è dato il via alle attività del “GTHub”: un salotto affacciato sul resto d’Italia e del mondo per dialogare e diffondere i dettami dell’economia circolare.
Il Green Transformation Hub, il 20 settembre, ha ospitato il suo primo evento, trasmesso in streaming, nel quale le professionalità e le competenze di ben sette relatori nel campo dell’innovation technology e dell’economia circolare, su moderazione della Dott.ssa Eleonora Rizzuto – Presidente AISEC – Associazione Italiana per lo Sviluppo dell’Economia Circolare, si sono avvicendate dando vita a una tavola rotonda il cui cardine è stato sviscerare le famose 3 P della sostenibilità: Planet (aspetto ecologico), People (aspetto sociale) e Profit (aspetto economico), a cui ne è stata aggiunta una quarta che direziona le precedenti Purpose (proposito, finalità). Proprio da quest’ultima si è cominciato a dialogare insieme!
Purpose
La dr.ssa Grossi e il dr. Cimini, rispettivamente Vicepresidente e Amministratore Delegato di Greenthesis S.p.A, hanno dato il via all’evento gettando luce sugli scopi e sulle finalità della tavola rotonda sottolineando quali sono gli obiettivi che si pone l’Hub appena inaugurato. La dr.ssa Grossi ha precisato la volontà del Gruppo di creare con l’hub un punto d’incontro tra tutti gli stakeholders accelerando così il processo di innovazione tecnologica in chiave di economia circolare e sostenibilità.
Non basta, infatti, dire di essere virtuosi, è necessario anche saper comunicare le proprie iniziative e coinvolgere il più possibile ogni portatore di interesse nel processo di modifica dei modelli di business. La formazione, l’educazione, l’istruzione alla circolarità, dunque, sono i punti fondamentali su cui bisogna lavorare per facilitare il dialogo intergenerazionale e costruire una forza lavoro che abbia conoscenze e competenze trasversali. Se il passato non si può cambiare, senz’altro si può fare qualcosa per il futuro e questo qualcosa può avvenire solo tramite un coinvolgimento attivo di tutte le parti in causa, concentrandosi su nuovi lavori green, coniugando la sostenibilità con il pragmatismo e mettendo in atto misure che diano la possibilità alle nuove leve di essere preparate a relazionarsi con un futuro nuovo, migliore.
Il dr. Cimini, a tal proposito, ha ribadito che un tale cambiamento può essere stimolato e accelerato dalla presenza di un luogo aperto, dove sviluppare un modello di open innovation sfruttando l’interesse nazionale e internazionale nato attorno a questi temi. Il New Green Deal, il Recovery Plan, il PNRR, l’andamento della finanza verde, sono solo alcuni dei segnali forti che provengo dalle istituzioni per dire che si vuole davvero mettere in atto il cambiamento. Per far sì che la volontà si trasformi in realtà, però, è necessaria la coesione di vedute tra imprese e istituzioni, anche instaurando partnership tra pubblico e privato o tra privati di eccellenza che condividono la mission.
Planet
Per la parte del dibattito incentrata sulla P di Planet hanno partecipato il dr. Stefano Martini dell’Intesa San Paolo Innovation Centre, il professor Carlo Alberto Pratesi, docente di Mrketing Innovation Sustainability all’Università di Roma Tre e il professor Vincenzo Belgiorno docente di Ingegneria Sanitaria Ambientale all’UniSalerno.
Innanzitutto sono state individuate le sfide per il futuro dell’economia circolare:
- Puntare sulla formazione, ossia rendere sempre più consapevoli le aziende delle opportunità che si hanno abbracciando la transizione ecologica;
- Creare rete, ossia implementare le connessioni tra le aziende per riuscire a matchare chi ha bisogno di elementi di innovazione con chi li può offrire;
- Ripensare il modello di business, ossia stimolare una modifica del modello in chiave innovativa ed ecologica tramite l’offerta di servizi di advisory che guidino le aziende (soprattutto la PMI che ha bisogno di capire sia cosa poter fare che come realizzarlo) nel proprio percorso di transizione.
Per arrivare a un modello zero waste in grado di salvaguardare il Pianeta c’è l’urgenza di dare vita a un’alleanza, usando la sostenibilità come leva di successo e sviluppo, tra gli aspetti finanziari, istituzionali e formativi affinché con un lavoro sistemico si possano coniugare processi diversi di realtà disparate che, però, cooperano in vista di un obiettivo comune.
Questa complessità di fronte alla quale le aziende si trovano va gestita adeguatamente comprendendo che, purtroppo, la sostenibilità ambientale non si fa a parole, ma necessita di un cambiamento comportamentale. Andranno fatte delle scelte di campo che, inevitabilmente, scontenteranno qualcuno, anche perché, e gli studi lo confermano, come sottolinea il professor Pratesi, qualunque innovazione che implichi un cambiamento comportamentale genera quasi sempre un atteggiamento di rigetto da parte di chi ne è coinvolto. Ecco perché è capitale la giusta comunicazione, per poter procedere all’unisono. Molto può farlo il brand activism, ossia quel momento in cui l’azienda decide di investire nel compito di veicolare i propri valori di fondo più ancora del prodotto o del servizio che vende. Comunicare la responsabilità del processo produttivo non è affatto semplice, ma nel momento in cui si fa, tutti gli stakeholders si sentono coinvolti e sono più propensi a sposare il brand e la sua mission.
Anche la tecnologia, infine, riveste un ruolo primario nella salvaguardia del pianeta, potendo farsi portatrice di soluzioni di efficientamento tali da dover operare meno rinunce nell’attuazione della transizione ecologica. Un esempio su tutti, prendendo il settore dell’automotive, può essere quello delle auto elettriche e delle auto a idrogeno. Mentre le prime hanno necessità di batterie al litio (metallo alcalino che prevede processi di reperimento e smaltimento molto onerosi), le seconde potrebbero realmente costituire l’investimento per il futuro se esso si opererà per far sì che l’idrogeno usato non sia più il così detto idrogeno “grigio” (derivato fossile non sostenibile), ma quello “blu” che proviene dall’elettrolisi dell’acqua (non più derivato fossile). Ad oggi l’idrogeno blu non è ancora competitivo sul mercato ma il fatto che una cifra consistente dei fondi del PNRR sia stata destinata alla produzione, implementazione e ottimizzazione dell’idrogeno è significativo della sua importanza come vettore energetico.
People
La componente People, ossia l’aspetto sociale, è forse, ha detto il dr. Rosario Sica (Founder e CEO di Open Knowledge) il driver più importante. Come è stato evidenziato anche dagli altri relatori prima di lui, è aspetto imprescindibile per il cambiamento quello che prevede un investimento attivo e corposo sulle risorse e sulla formazione dei lavoratori presenti e futuri.
Bisogna prendere il “buono” della situazione di discontinuità forte in cui la pandemia ci ha gettato, comprendendo che essa ha perlomeno avuto il merito di accelerare tutti i processi di cambiamento, a partire dal cambiamento di mindset. La modifica del mindset, non soltanto personale, ma allargando il cerchio, anche a livello di management (change management) deve costituire la base di partenza per la comprensione che l’ottimismo verso il futuro è possibile nella misura in cui si accetta l’azione ferma nell’interesse della futura classe di lavoratori. Già a partire dalle scuole primarie e secondarie si dovrà modificare il modo in cui si affrontano i temi della sostenibilità ambientale facendo sì che nel prosieguo del percorso formativo si alzi sempre di più l’asticella in tal senso.
Profit
Per chiudere il cerchio delle 3 P, per la parte del Profit, ha interloquito con gli altri relatori il professor Michele Calcaterra, docente di Finanza all’Università Bocconi di Milano chiarendo alcuni punti cruciali partendo da una domanda secca: come mai c’è stata un’esplosione della sostenibilità anche nel settore finanziario, notoriamente più cinico in queste questioni?
Perché ci si è resi conto che gli investimenti che seguono logiche ESG (Environmental, Social, Governance) sono maggiori rispetto a quelli tradizionali e muovono rendimenti molto elevati. Dietro alla semplicità di questa risposta si cela la consapevolezza, tutta nuova, per i mercati azionari che l’economia circolare è la sublimazione del concetto di sostenibilità e che, dunque, in quanto tale ha una profittabilità elevatissima. Per fare un esempio, negli ultimi quattro anni, ossia dal momento in cui ha debuttato un indice finanziario sull’economia circolare, esso ha raccolto SOLO nel mercato italiano 12 miliardi di euro. Può sembrare cinico dirlo, ma la finanza deve per sua natura necessariamente guardare al profitto e il fatto che questo profitto possa muoversi su binari di sostenibilità è una svolta importantissima.
Senz’altro ci sono ancora dei margini di miglioramento e riguardano principalmente:
- la trasparenza, ossia fare in modo che il proprio modello di business sia il più chiaro possibile, vista l’avidità sempre maggiore di queste informazioni per la scelta di investimento da parte del mercato bancario/finanziario;
- la standardizzazione, ossia la creazione di standard ampiamente condivisi, non più discrezionali, che traccino un terreno condiviso per definire univocamente i rating ESG.
Concludendo, alla luce di tutti gli interventi, possiamo davvero dire che il Green Transformation Hub ha dimostrato, sin dal suo battesimo, di essere un polo di attrazione e di accelerazione del cambiamento, anche grazie alla partecipazione di relatori di alto profilo che hanno dato vita a un dibattito trasversale, multidisciplinare, attuale e completo. Speriamo che sia solo il primo di moltissimi eventi che troveranno in questa meravigliosa sede la loro casa, per diffondere il più possibile i dettami dell’economia circolare.